RECENSIONE
Che cosa resta da dire ancora su Brian Eno? Un musicista dalla carriera incredibilmente rigogliosa, che per anni si è caparbiamente impegnato nella realizzazione di un’idea musicale, uscendone trionfante al punto che non è stato più possibile separare la sua musica dal concetto che ne è alla base: nei suoi brani idea e rappresentazione coincidono tanto da non poter essere distinti.
Un uomo, tuttavia, i cui meriti sono già stati ampiamente decantati e la cui musica è stata raccontata e analizzata in un numero sorprendente di scritti e articoli. A complicare le cose si aggiunge il fatto che “Music For Installations”, dal punto di vista estetico e concettuale, non si discosta affatto dalle recenti uscite del musicista – se si considera la sua produzione dal momento in cui Eno si è impegnato nella realizzazione di una musica capace di “autogenerarsi” – e ne è, anzi, in qualche modo, la “summa” e la sintesi.
Tuttavia una domanda sorge spontanea: si tratta di sound art o di ambient music? Probabilmente di entrambe o anche qualcosa di più. Il cofanetto, infatti, una raccolta di brani ideati da Eno per le sue installazioni audio-visive dal 1985 a oggi, è suddiviso in sei dischi, ciascuno dei quali contiene musica d’ambiente o composizioni minimali che al sereno e libero fluttuare del suono sostituiscono ripetitive strutture ritmiche e talvolta melodiche. Questo materiale, sistematicamente organizzato all’interno della raccolta, funziona come uno specchio rivelatore che riflette, sia pure in qualche modo trasfigurandoli, alcuni frangenti della carriera di Eno, palesandone le divergenze ed evidenziando le incredibili analogie ritrovabili in diversi stadi della sua produzione.
Indipendentemente dal fatto che il materiale sonoro sia suddiviso in frammenti liberi di muoversi nell’ambiente acustico o che, al contrario, il suono sia in qualche modo costretto all’interno di strutture, che si tratti di sonorità digitali o acustiche e trattate, i brani presentano un aspetto rigoroso e geometrico, al punto da sembrare (erroneamente) dei sistemi conchiusi, finalizzati a se stessi e dalla forma predefinita. Apparendo così inflessibile e astratta, ma rivelando proprietà diverse ad ogni ascolto, la musica di Eno mette in discussione il concetto stesso di rigore e di controllo, introducendo un nuovo modo di intendere il caso e il caos: dei principi “organizzatori”, sotto il cui segno i suoni riescono a stringere legami e produrre effetti non prevedibili dal compositore.
Federica Romanò