RECENSIONE

«Ora la nostra poesia è la co-scienza di non possedere nulla», scriveva John Cage in “Silence”, chiarificando un aspetto fondamentale di certa musica sperimentale statunitense: il rifiuto del controllo da parte del compositore, che sceglie di lasciare al suono l’opportunità di essere «se stesso». L’atto musicale perde dunque le sembianze di un gesto intenzionale per somigliare a una volontaria «mancanza d’intenti»: un «gioco» volto ad avvicinare l’arte alla vita, o ad annullare la prima in funzione della seconda.

Da principi diametralmente opposti muovevano invece molte delle opere realizzate nello Studio di Fonologia della Rai di Milano: non il caso ma l’Uomo, non l’I Ching ma il gusto, non l’assenza di scopo ma il senso (semantico e comunicativo) guidavano la composizione dei brani di Berio, Maderna e Nono, perni su cui poggiava il successo e la fertilità dello studio fonologico. Soltanto a un quadro come questo poteva pertenere una personalità come quella di Marino Zuccheri, tecnico e regista del suono, recentemente omaggiato dall’etichetta Die Schachtel che, in collaborazione con NoMus e la Rai, ha scelto di raccogliere in un volume le conferenze, i concerti e le opere della mostra tenutasi in suo onore da giugno a gennaio del 2016/2017 al Museo del Novecento.

L’attività di Marino Zuccheri, da artista visivo ad unico medium tra il compositore e le macchine dello studio – Zuccheri è la prima espressione di quella figura di produttore successivamente incarnata da Brian Eno: nessuno meglio di lui sapeva come estrarre dagli strumenti elettronici i suoni presenti nella mente e nelle parole dei musicisti – viene assorbita all’interno del libro e documentata tramite fotografie e testimonianze. Ma Marino Zuccheri, malgrado la sua ostinazione nel negarlo, era ben più di un tecnico e persino più che un “maieuta”: adagiato sul fondo del libro, infatti, Die Schachtel pubblica un disco di due tracce inedite, “Parete ’67” e “Plastico” (realizzata insieme a Renzo Dall’Oglio), che attestano le doti di Zuccheri come musicista.

Composta per l’installazione di Emilio Vedova per il padiglione italiano dell’Expo di Montréal utilizzando materiali sonori scartati da Luigi Nono, “Parete ’67” è esemplificativa del gusto e della sensibilità artistica di Zuccheri. Nel brano lastre di suoni vocali ed elettronici (droni ovattati e sotterranei, suoni granulosi e aghiformi che attraversano e scuotono, come scariche elettriche, la composizione), nella loro organizzazione e interazione tracciano un racconto dalla forte componente espressionistica; è quasi come ascoltare qualcuno che da sottoterra lavora alla trasformazione di materiali metallici ed esplosivi.

Federica Romanò

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Marino Zuccheri
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