RECENSIONE
Teresa Winter ha il potere di portare l’inverno anche nella più afosa giornata d’estate. Sonorità spettrali, atonalità, strutture circolari, doppiezza e onirismo sono le armi di cui si è principalmente servita la Winter. In “Canticles Of Ecstasy”, il brano d’apertura di “What the Night Is For”, i suoni si ripetono senza sosta, si avvicinano e si allontanano, si ritirano nel momento esatto in cui ci illudono di travolgerci, i cluster ripetuti dell’organo rivestono tutto l’ambiente sonico e non lasciano all’ascoltatore lo spazio per respirare: è una cantilena, petulante ed estenuante, che funziona però da balsamo per la mente, la quale riesce a perdersi nella corrente sonica senza essere interrotta dai pensieri.
Quasi due minuti di stridori e dissonanze conducono al brano “For Murder”, uno dei pezzi più intensi dell’album: un pulsare insistente e massiccio fa da rete a fitto andirivieni di suoni, tra cui compare la voce suadente e inespressiva della Winter, inserita in un coro di anime celestiali e diafane. Pesantezza e leggerezza sono così perfettamente calibrate e vengono messe a confronto, in contrasto e fatte dialogare.
La doppiezza è una proprietà intrinseca di quasi ogni pezzo dell’album, ma assume di volta in volta una forma e una ragione d’essere del tutto differenti. “Mother Of Death” ci lascia assistere alla più classica delle contrapposizioni, quella tra il silenzio assoluto (che non esiste e non ha corrispettivo nel reale) e il rumore, che ricorda l’arrivo di un temporale, il suono di una macchina che ti passa accanto sfrecciando in strada durante una giornata di pioggia, il singhiozzare di una voce femminile che, ripetuta nel tempo, si tramuta negli spasmi di una donna che annega nell’acqua.
E, dopo la morte, finalmente la pace: “From So High That I Might Die” è la rappresentazione sonora dello Zen. Un’atmosfera ninfica, ultraterrena, fatta di tintinnanti percussioni metalliche, voci rarefatte e bordoni che leniscono l’anima da ogni male. La pace è, insomma, impalpabile e lontana, al contrario della morte che è tangibile, acuminata, rumorosa, ossessionante e sempre presente, come parte integrante o essenza ultima della vita: un messaggio quello della Winter, che trova piena espressione nella sua musica, comunicato con una chiarezza e un’efficacia tali da rendere superflue le mie parole e quelle di chiunque altro.
Federica Romanò
